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Come si sta trasformando l'italiano?

Ce lo chiediamo a Grande Giove. Il dodicesimo episodio del podcast di Wired affronta l'evoluzione del nostro linguaggio in tutte le sue sfaccettature con la linguista Vera Gheno e il rapper Ghemon

Che ne sarà dell'italiano? Nelle scorse puntate dello speciale Wired15 di Grande Giove, abbiamo esplorato diverse innovazioni che hanno trasformato il mondo, analizzandone passato, presente e futuro, ma non abbiamo mai discusso della tecnologia più pervasiva di tutte, ovvero la nostra lingua. Anche il linguaggio, infatti, ha una sua componente dinamica. Gli studiosi di questa materia dicono che l'italiano è un organismo vivente, plasmato dalle esperienze e dalla creatività di ogni nuova generazione. In questo processo attivo, i giovani svolgono un ruolo cruciale, introducendo linguaggi innovativi che spesso suscitano reazioni contrastanti. Da un lato, la diffidenza dei più tradizionalisti, dall'altro l'entusiasmo di chi abbraccia il cambiamento. Ne abbiamo parlato con Vera Gheno, linguista ed attivista, che ha collaborato in passato anche per l’Accademia della Crusca e ha da pochissimo pubblicato per Einaudi il saggio Grammamanti. Immaginare futuri con le parole. E con Ghemon, artista poliedrico, rapper, cantautore e stand up comedian.

"I giovani per definizione sono sempre gli early adopters", afferma la linguista Vera Gheno. "Sono i primi ad adottare nuove tecnologie e nuove visioni del mondo. Il loro contributo è fondamentale per l'innovazione linguistica". Eppure, l'idea che i giovani stiano impoverendo la lingua è una "bufala antichissima", sostiene Gheno. "Platone stesso, nel terzo libro della Repubblica, si lamentava dei giovani che facevano 'le moine' e non avevano rispetto dei loro maestri. È un pregiudizio che si ripete da millenni".

Secondo Ghemon, il rap ha giocato un ruolo fondamentale nell'evoluzione del linguaggio e non solo, è stata “l'ultima grande novità artistica ad aver impattato davvero sulla società italiana”. Quei linguaggi giovanili usati nei testi delle canzoni un tempo erano considerati "cose da scemi", ma oggi sono entrati a pieno titolo nel linguaggio comune. "Parole che allora erano solo nostre, come 'bro', ora le dico con naturalezza perché fanno parte a pieno titolo del parlare comune". Oggi possiamo osservare linguaggi ibridi come quelli di artisti come Madame o i Baby Gang, che uniscono italiano e arabo dando vita a nuove forme espressive. "Il mondo in cui viviamo è questo, non ci sono solo le osterie ma mangiamo kebab e cibo cinese. Il rap racconta quella realtà".

Un altro fattore chiave dell'evoluzione linguistica sono i dialetti, che in Italia hanno un ruolo davvero peculiare. "I dialetti dell'Italia non sono dialetti dell'italiano precisa Gheno –. Sono lingue complesse a sé stanti, con vocaboli e sfumature uniche che andrebbero preservate". Basterebbe chiedere ai nostri nonni di spiegarci le parole del loro dialetto che non esistono in italiano e ci accorgeremo subito che in diversi casi sono molto più concise ed espressive di interi periodi in italiano. Gheno sottolinea come "noi italiani siamo stati a lungo educati a considerare il dialetto una cosa inferiore, quando in realtà ha elementi linguistici irripetibili", afferma Gheno. "Bisognerebbe imparare quando usare l'italiano e quando il dialetto, preservando entrambi".

Gheno sottolinea come la lingua non solo rappresenti ciò che esiste, ma crei anche "la possibilità di farci immaginare mondi che non esistono". Termini come "motore a curvatura" di Star Trek o "mithril" de Il Signore degli Anelli sono esempi di questa "potenza creatrice del linguaggio". Un aspetto cruciale è la capacità della lingua di dare un nome a fenomeni umani prima inesplorati. "Quando una cosa diventa raccontabile, diventa anche più comprensibile", afferma Gheno, citando l'esempio delle persone non binarie. “Finché non abbiamo avuto questa espressione, nelle nostre culture non avevano un'etichetta socialmente non riprovevole per nominarle

Sul dibattito sull'uso del maschile come neutro, Gheno chiarisce: "Non è la lingua a essere sessista, ma il modo in cui viene utilizzata". Studi neurolinguistici mostrano che "il maschile sovraesteso non è privo di conseguenze cognitive" poiché "il nostro cervello prima lo decodifica come maschile". Riguardo allo schwa, il simbolo grafico proposto per un pronome neutro, Gheno spiega: "Non si deve necessariamente affermare, la sua forza è stare fuori dalla norma e farti vedere il limite della norma stessa". Un modo per "richiamare l'attenzione su un aspetto della realtà umana che finora abbiamo dato per scontato".

Ai microfoni Daniele Ciciarello e Matteo Imperiale, con il coordinamento editoriale di Luca Zorloni, l'assistenza editoriale di Maddalena Sara e il supporto operativo e logistico di Elena Lotto.